Rimini?

Rimini è rumore di un treno che deraglia, il suono di una linea morta.
La spiaggia è il rumore di un oceano qualsiasi in tempesta, ma è solo un treno che deraglia, solo una lingua morta.
Lei stava là, seduta o sdraiata, non ricordo. Con quel sorriso da protagonista di una storia triste. In quel magico confine dove sabbia e mare non erano più loro. Dove tutto era vago e la fantasia realtà. Dove il sonno del sogno sembra quasi destarsi, un giorno qualsiasi, aprile o maggio non importa.
Nessuno sa il perché, ma di certe città ce ne si dimentica la storia. Le città sono come le donne, come gli uomini, come i bambini. Nessuno sa il perché, ma certe città potrebbero essere nate da una lacrima, da un sospiro, altre dal trionfo o dalla decadenza di una vecchia quercia. Nessuno sa perché sono come sono: dietro all’apparenza, spesso, si raccontano storie che non si sanno più capire.
Che poi magari qualcuno a un certo punto della vita si alzava e iniziava a danzare, per un giorno in più, per un anno in più. Danzare di un ritmo calmo e melodico. Danzare nel frustante frastuono che hanno nella notte fonda i viali di Rimini, che hanno i treni che deragliano e i mari in tempesta. Inesplicabilmente contenti di aver capito un capitolo, una riga, un piccolo affondo nel vasto programma di saggezza che capire quelle piccole storie cittadine comporta.
Una rivoluzione infondo. Quella danza, quel sorriso alla fine di una linea morta.
Quel sorriso posto esattamente li dove sabbia e mare hanno qualcosa in comune, dove realtà e fantasia hanno lo stesso significato; dove non esiste ciò che siamo, ma solo ciò che vogliamo, diventare grandi, entrare nella storia.
Il sonno di un sogno, finalmente possibile.

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