Noi e l’Ulisse di Camerini

‘E’ una vita che parlo con te. Mi giro e ti trovo a dieci passi o a cinque. Guardami diluire più acqua bevo, con la pelle che diventa una rete a maglie grosse e i linfonodi che cadono qua e là come semi già grossi e non sotterrabili, gli organi che si arenano ai lati, disfunzionali ma fieri. Dici che non parlo più come prima, che perdo concentrazione e sempre più, determinazione e forza’

Frase sulla testiera del letto, scritta a carboncino e ormai sbiadita, la leggo mentre bevo, ti sei accorta di quante persone hanno passato le notti su questo materasso e sei scappata sul balcone, aria. Da dietro la portafinestra ti giustifico i 6 miliardi di abitanti del pianeta e una sua piccola percentuale che si sdraia tutte le notti con te, le loro molecole una cosa sola con i tuoi capelli che mentre dormi ti si raccolgono attorno. Se ti concentri puoi sentire tutti i loro odori e le loro grida. Per questo se litighiamo non è altro che uno strato in più su questo letto e andremo avanti fino al soffitto a urlarci dietro quanto non ci capiamo, senza preoccuparci. La televisione nella stanza accanto, il radiogiornale che parla di sommosse in un paese con di cui hai sentito parlare per la prima volta pochi anni fa. Facciano quel che vogliono sui beni comuni io ti tengo stretta e non riconosco referendum e tu sorridi con compassione. Come in quel film di cui ti parlo troppo spesso, lui che confessa tutto e lei che finge di dormire. Come in un racconto di Carver di pasticceri. Ma prima o poi qualcosa verrà fuori dallo schermo, prima o poi qualcuno entrerà nell’appartamento. Una insicurezza comoda ci vieta di uscire e fare la spesa, perderci nel reparto appena aperto, controllare scrupolosamente se al volantino corrispondono gli sconti reali, o se sono state applicate variazioni non preventivamente comunicate. Abbiamo svitato i battiscopa e non abbiamo trovato nemmeno gli insetti. Scrostato lo stucco e smembrato i condizionatori. Abbiamo inviato sonde snodabili nella canna fumaria e minuscole spie nelle tubature e nella lavatrice in funzione centrifuga a 1400 giri. Sezionati i lampadari e sradicati i cactus nei vasi indiani. Con pazienza per me sconosciuta hai passato con l’unghia multicolore le fughe delle piastrelle. Abbiamo buttato tutto dalle finestre e neanche il tempo di preriscaldare il forno che avevano già sgomberato tutto. La casa vuota allenta la tensione, e amplifica la tosse. Ho avvitato delle piccole ruote alle sedie e ti ho fatta girare tanto forte da farti perdere i sensi. Ti ho dolcemente annuito mentre aprivi e chiudevi la bocca e poi ti ho coperta di cerotti per le ferite future. Ti svegli con il microonde che trattiene le 2 di notte e mi trovi incollato a Silvana Mangano che fa Circe. Ti grido da pochi passi che tu sei diversa e non ti sei ancora decisa a sequestrarmi, a trasformare i miei compari e vestirmi d’oro. E allora mi trasfigurerò da solo, e dovrai essere tu a costruirmi una zattera sfasciando il tavolo, perchè io da te non me ne vado più. E corro giù, due o quattro gradini alla volta, urlando solo.

 

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