E vide che la luce era cosa buona

Io sono Cam, padre di Canaan. Della prima generazione scampata al Disastro. La mia discendenza è stata una discendenza schiavizzata da una maledizione paterna. Io sono Cam, fratello di Sem e di Iafet. Ora che sapete, ditemi, raccontatemi, descrivetemi: voi conoscete, forse, la luce?
Conoscete voi, voi ciechi guide di ciechi, voi che vi definite i figli della luce, conoscete? Ne sapete qualcosa? Presto, parlate. La verità, mi serve ora. Ne ho bisogno. E non di piccole costatazioni fisiche o filosofiche. Cos’è la luce? Dove risiede, dove nasce? Certo, sicuramente esiste, e su questo credo che concorderete con me. È innegabile, che ci sia è davvero innegabile. La realtà è costantemente indaffarata a mostrarci alcuni scorci, alcune piccole visione. E io, io voglio tutto.
Sono stato ingannato a lungo, da me stesso e dalle persone a me più care. Definivano luce talvolta il colore dei fiori in primavera, talvolta il silenzio perlaceo della neve, talvolta la bella trasparenza di un corso d’acqua. Io stesso mi ingannavo, dicevo. Ritenere quei piccoli segni della sua presenza, la presenza stessa della luce in questo modo era un modo come un altro per tenere buono questo piccolo cuore. Questo piccolo cuore e i suoi desideri. Menzogne frutto di una pura e semplice ortoprassi, nient’altro. Probabilmente non ero neanche il solo. Eravamo un popolo fiorente, prima del Disastro. Intelligente, acuto. Un popolo di grandi costruttori. Le nostri torri arrivavano a sfiorare il cielo, la nostra lingua era la più bella di tutte le lingue parlate allora. Al tempo stesso però, la nostra superbia non aveva limiti, le nostre spade sempre alzate in guerra e non vedevamo la luce. Ci accontentavamo di riconoscerne la presenza grazie a quei piccoli segni succitati. Probabilmente fu quella la causa della nostra rovina, la causa del Disastro. Quando iniziò a piovere e tutto fu dimenticato nel fango, mi salvai grazie alla rettitudine di mio padre e dei miei fratelli.
Io, probabilmente l’uomo più corrotto e miscredente della città, salvato da un debito di sangue.
Una voce, senza origine ne tempo, aveva promesso a mio padre un alleanza. Costruimmo una piccola barca e ci salvammo dalle acque del diluvio. Su questa stessa barca ora posso guardare la rovina della mia nazione, negli occhi dei cadaveri trascinati dalla corrente, la stessa sorte che doveva toccare anche a me. Ora, ora che quella luce si nasconde ormai da quasi un mese, ora che ho capito la colpa della nostra superbia, nel non averla riconosciuta, ora sconto il peso della mia condanna. Qui su questa barca. Destinato a conoscere ciò che mancava alla mia vita per raggiungere la perfezione e destinato al tempo stesso a non trovarla, ne ora ne mai. Solo pioggia, solo lacrime sono concesse in questa navigazione infernale. Mio padre e i miei fratelli continuano a riporre la loro fiducia in quella voce misteriosa. Il mio rituale quotidiano invece è diventata la supplica. Trovate, voi, la luce. Scorgetene in questo mondo grigio un piccolo raggio, un piccolo barlume e portatemelo. In questo modo, sarò salvo.
Non compite i miei stessi errori. Non limitatevi ai segni. Non siate fiduciosi nella luce, siate certi della luce. In questo modo, saremo salvi.
E forse, dopo la nostra redenzione, dopo la nostra salvezza ci sarà davvero concessa questa visione. E forse, questo silenzio potrà essere colmato dal ritornare di quella voce. E forse, quella luce e quella voce saranno davvero un’unica cosa e non ci sarà più questo inferno sulla terra.
Intanto però, tutto questo resta solo il mio sogno. Il sogno di Cam padre di Canaan e figlio di Noè. Un sogno consumato in fretta sotto le acque del diluvio, nel ventisettesimo giorno dopo la catastrofe.

 

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